Su Bianco

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Non ho ancora mostrato il mio biglietto ed è già atmosfera altra, suggestione. Il confine fra reale e irreale è pronto a rompersi prima ancora di riuscire a definire se stesso. Un vecchietto dietro di me chiede chiarimenti a due tipi abbracciati in un angolo. Non sentono. Non rispondono. Semplicemente non sono reali. Poi mi guarda perplesso. Io ho in mano un biglietto bianco. Io devo essere reale e allora mi segue in silenzio, mentre mi faccio trascinare dal vortice di gente. Ci metto un po' ad accorgermi che anche non tutti gli altri intorno a me sono reali e impercettibilmente inizio a perdermi nella scena.

Ho come la sensazione di essere vera solo perché il caso ha voluto che tenessi in mano un foglietto bianco e mi accorgo di quanto è assurdo e fragile il concetto di vero e non vero. Abbandono ogni tentativo di definizione. Non mi interessa. Non ora per lo meno. Smetto perfino di sentire lo sbigottimento dei miei ignari compagni di viaggio. Si aspettavano un palco e una platea. Hanno trovato un mondo altrove. Il loro sconcerto diventa sottile imbarazzo, finché anch'essi, compiacenti animali razionali, cederanno impotenti alla scena. Entro inconsapevole e curiosa attraverso un corridoio di voci, ombre e presenze vaghe. La melodia di un uomo in bianco si ruba i pensieri e gli ultimi lembi della mia ragionevolezza. Affascinante rito di iniziazione: ora sono pronta per il viaggio. Non so cosa mi aspetta e non lo voglio sapere. Bianco è il nome di questo viaggio e bianca mi sento io adesso. Tabula rasa ansiosa di essere riscritta da un mondo altrove, sistema diverso di logiche e pensieri, ma non per questo meno reale di quello appena lasciato alle spalle. Sono cieca prima ancora che si accorgano di esserlo le figure vaganti intorno a me. Sono cieca ma vedo, proprio come accadrà loro.

I muri mi parlano di immagini riflesse. Le voci di tonalità sconosciute e sovrapposte. I corpi di spasmi tanto forti da fare paura. Non c'è un fuoco. Non so dove guardare: fortunato destino di chi non ha occhi. Bianca anch'io come loro. Finzione e realtà si avvinghiano in un abbraccio infinito e ogni definizione si perde definitivamente nel bianco della notte. Riaffioro da questi pensieri e sono catapultata in un nuovo turbine di magnetismo. Una cena, mi pare. Ma c'è qualcosa di strano. Una base di energia e tormento che sale piano e inesorabile cattura i commensali, uno ad uno. Noi non esistiamo. Ci siamo, ma non ci sentiamo lì. Ci siamo, ma nessuno si occupa di noi. Non ci sentiamo lì, ma siamo presi dallo stesso vigore. Loro sono ciechi eppure captano la nostra presenza. Sono ciechi e non ci guardano. Noi siamo ciechi quanto loro, ormai. Siamo ciechi, ma condividiamo il loro spasmo. Il mondo altrove ci ha completamente assorbito. Il confine che separa le nostre presenze è pura questione di dimensione. Intima la nostra, pubblica la loro. Ma le definizioni si sono annullate da un pezzo e non sarebbe strano se ci unissimo tutti in un unico grande abbraccio ansimante o in una voce di gemiti infiniti. Noi e loro. Irreale e reale. Vita e scena. Azzardo e inibizione.

Mi guardo intorno e all'improvviso percepisco tutta la logica che sottende il caos fuori e dentro di me. Prima eravamo davanti. Mischiati, ma davanti. Poi intorno. Ora progressivamente ci troviamo in mezzo. Lo spazio esterno rispecchia il nostro spazio interiore. Lo modella e lo leviga secondo la sua volontà. Spesso lo anticipa e anticipando lo prevede. Il mondo altrove, cieco nella sua essenza, ha scorto il mio percorso e me lo sta rappresentando perché anch'io, cieca con me stessa, possa finalmente vederlo e sposarlo. Spettatore, attore e personaggio hanno superato il sistema di confini e si sono uniti generando una me stessa più ricca, sofferente ma serena. Se mi concentro riesco a guardarmi dall'esterno vestita di questi abiti nuovi e allora sì che vedo: contagiata dalla cecità per vedere finalmente luce fuori e dentro. Bianco. Può durare un attimo o un'eternità. Non è importante.

Il viaggio va sfumando. La tensione trova ristoro. Le urla si trasformano in melodia, gli spasmi in passi di danza e tutto si riunisce là dove era iniziato, in un'unità distesa e rassicurante. Sagome nere affiorano dal bianco che le circonda. E quando il bianco non c'è più si scorgono ancora i personaggi. Reali o irreali non si sa e ormai non ci interessa più. Le sagome nere sono allo stesso tempo ombra del vero e del fittizio, di me immersa in questo mondo e di me quando sarò di nuovo nel mio mondo, altrove da qui ma mai più troppo distante.

Autore
Nicoletta Freschi